Più di un maestro per molti, una fonte di ispirazione per tutti
William Eugene Smith è un fotografo documentarista, nato nel 1918. Smith iniziò a fotografare da giovanissimo. Dei primi scatti aihmè non rimase traccia, fu lui stesso a distruggerli giudicandoli “troppo scarsi”. Nel 1936, fu ammesso alla Notre Dame University dove un corso di fotografia fu istituito appositamente per lui. Abbandonata l’università, iniziò a collaborare con il settimanale Newsweek, da cui fu allontanato per aver rifiutato di lavorare con le macchine Graphic 4×5. Il fotografo, nel 1939 viene contattato dalla rivista Life, con cui inizia una collaborazione che lo porterà, nel corso degli anni, a coprire come fotografo di guerra il Teatro Bellico del Pacifico.
Le immagini scattate sono vere e proprie icone della Seconda Guerra Mondiale.
Il 23 maggio 1945 viene ferito al volto da una granata. Nei due anni successivi fu costretto a dolorosi interventi e a una lunga riabilitazione. La foto “A walk to Paradise Garden” fu il primo scatto realizzata dopo la malattia. L’immagine in questione è un simbolo di rinascita e speranza. Nel 1955 abbandona Life per entare nell’Agenzia Magnum Photos, per la quale realizza un reportage su Pittsburgh che gli varrà il primo dei suoi tre premi Guggenheim. Negli anni successivi Smith torna a collaborare con Life e realizza alcuni dei reportage più celebri pubblicati dalla rivista statunitense su tutti:
- “Spanish Village“, in cui è raccontata una cittadina spagnola in pieno franchismo,
- “Country Doctor“, narrazione fotografica dell’attività di un medico generico nella campagna americana.
Il rapporto con Life finì per deteriorarsi, e con esso, crollò la fiducia di Smith verso il sistema dell’informazione americano. Nonostante questo, nel 1971 realizzò uno dei suoi reportage più riusciti, “Minamata“. In cui fotografò i tragici effetti dell’inquinamento da mercurio in Giappone. Grazie all’interessamento di Ansel Adams, ottenne nel 1976 una cattedra all’Università dell’Arizona. Nel 1978 una grave forma di diabete lo portò alla morte.
“Non ho mai scattato una foto, buona o cattiva, senza che mi provocasse un turbamento emotivo.”
“A cosa serve una grande profondità di campo se non c’è un’adeguata profondità di sentimento?”