Robert Capa

Endre Ernő Friedmann nasce a Budapest nel 1913, abbandona in giovane età la terra natale a causa del proprio coinvolgimento nelle proteste contro il governo di estrema destra; milita nel Partito Comunista. L’ambizione originaria di Capa è diventare uno scrittore, ma l’impiego presso uno studio fotografico a Berlino lo avvicina al mondo della fotografia. Nel 1933 lascia la Germania alla volta della Francia a causa dell’avvento del nazismo, in Francia incontra molte difficoltà nel trovare lavoro come fotografo freelance. Pensò che il suo nome era troppo complesso per essere ricordato e decise di ribattezzarsi Robert Capa.

“Avevo un nome che non andava troppo bene. Non ero incosciente, soltanto un po’ più giovane. Non riuscivo ad ottenere un incarico. Avevo assolutamente bisogno di un nome nuovo… E così mi inventai che questo Bob Capa fosse un famoso fotografo americano giunto in Europa, uno che non voleva scomodare i redattori francesi che non pagavano abbastanza…”

A Parigi conobbe Gerda Taro, altra fotografa di guerra, una delle prime della storia. Endre e Gerda si fidanzano; Il loro sodalizio, sentimentale e fotografico, viene però interrotto brutalmente nel 1937 quando Gerda, intenta a fotografare la battaglia di Madrid, viene accidentalmente travolta da un carro armato. Dal 1936 al 1939 si trova in Spagna, dove documenta gli orrori della guerra civile. La carriera di Robert Capa ha una svolta fondamentale il 23 settembre 1936;
Il giorno di pubblicazione della foto del miliziano colpito a morte.

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In un’intervista radiofonica del 1947, spiegherà la genesi di quello scatto.

“Ho scattato la foto in Andalusia mentre ero in trincea con 20 soldati repubblicani, avevano in mano dei vecchi fucili e morivano ogni minuto. Ho messo la macchina fotografica sopra la mia testa e, senza guardare, ho fotografato un soldato mentre si spostava sopra la trincea. Questo è tutto. Non ho sviluppato subito le foto, le ho spedite assieme a tante altre. Sono stato in Spagna per tre mesi e al mio ritorno ero un fotografo famoso, perché la macchina fotografica che avevo sopra la mia testa aveva catturato un uomo nel momento in cui gli sparavano. Si diceva che fosse la miglior foto che avessi mai scattato, ed io non l’avevo nemmeno inquadrata nel mirino perché avevo la macchina fotografica sopra la testa”.

Capa si trasferisce negli Stati Uniti e nel 1947, insieme a Henri Cartier-BressonDavid Seymoure George Rodger, fonda l’agenzia fotografica Magnum, la prima agenzia fotografica della storia.

Il fotografo, era famoso anche per la sua temerarietà, che lo aveva portato ad andare all’attacco con la prima ondata nello Sbarco in Normandia e a paracadutarsi da un aereo assieme ai militari per ritrarre da vicino l’attraversamento del Reno. La sua passione e la sua vita, l’amore per la fotografia, lo porta a morire nel 1954 durante la Prima Guerra d’Indocina. Sulla via del ritorno scattò le ultime immagini prima dell’incidente che gli costò la vita; salì su un terrapieno sulla destra per fotografare una colonna in avanzamento nella radura e qui posò il piede sulla mina che lo uccise. In quel preciso istante tutto il mondo della fotografia perde un maestro e un’istituzione. L’anno dopo, nel 1955, viene istituito in suo onore il Premio Robert Capa per “il miglior reportage fotografico dall’estero, per realizzare il quale siano stati necessari eccezionali doti di coraggio e intraprendenza”.

Tra gli anni Quaranta e Sessanta il reportage, diventa una vera e propria scuola, che ha sempre rivendicato un forte impegno etico, inteso soprattutto come dovere alla testimonianza e alla denuncia delle ingiustizie. In tutto questo, l’importanza della sua funzione sociale e il suo conseguente successo popolare hanno spesso portato a pensare al  reportage come alla fotografia per antonomasia. Robert Capa è stato senza dubbio un interprete unico e straordinario di questo mondo.

    • «Capa ha dimostrato oltre ogni dubbio che la macchina fotografica non è un freddo oggetto meccanico. Come una penna, è potente come la persona che la usa. Può essere l’estensione della mente e del cuore» 
    • «La sua macchina fotografica coglieva l’emozione e la tratteneva. L’opera di Capa è in se stessa la fotografia di un grande cuore e di un’empatia irresistibile. (…) Provava piacere a mostrarsi disinvolto, quasi distaccato dal suo lavoro, ma non lo era affatto. Le sue foto non sono incidenti. L’emozione che contengono non arriva per caso. Capa era in grado di fotografare il movimento, l’allegria e lo sconforto. Era in grado di fotografare il pensiero. Le sue foto catturano un intero mondo, e quel mondo è di Capa». John Steinbeck

 

Frasi celebri

  • “Se le tue foto non sono buone, vuol dire che non eri abbastanza vicino”. Probabilmente la frase più famosa di Robert Capa e uno degli aforismi sulla fotografia più conosciuti in assoluto.
  • “Come fotografo di guerra spero di rimanere disoccupato per il resto della mia vita”.
  • “Il corrispondente di guerra beve di più, ha più ragazze, è meglio pagato, ed ha una maggiore libertà rispetto al soldato, ma in questa fase del gioco, avere la libertà di scegliere il suo posto e di poter essere un codardo senza essere giustiziato, è la sua tortura”.
  • “In una guerra si deve odiare qualcuno oppure amare qualcuno; è necessario avere una posizione oppure non si può capire ciò che succede”.
  • “Non è sempre facile stare in disparte e non essere in grado di fare nulla, se non registrare le sofferenze che stanno intorno”.
  • “Questa guerra è come un’attrice che sta invecchiando. E’ sempre meno fotogenica e sempre più pericolosa”.
  • “Per scattare foto in Spagna non servono trucchi, non occorre mettere in posa. Le immagini sono lì, basta scattarle. La miglior foto, la miglior propaganda, è la verità”.
  • “Il corrispondente di guerra ha il suo gioco – la sua vita – nelle sue mani, e lui può metterla su questo o quel cavallo, oppure può metterla in tasca all’ultimo minuto”.
  • “Guardati dalle etichette. Rassicurano certo, ma prima o poi qualcuno te ne affibbia una di cui non riesci più a liberarti. Se deve proprio esserci un’etichetta, assumi quella di fotoreporter e conserva per te stesso tutto il resto, in fondo al cuore”. Foto perfette ma senza anima
  • “… la macchina fotografica che avevo sopra la mia testa aveva catturato un uomo nel momento in cui gli sparavano. Si diceva che fosse la miglior foto che avessi mai scattato, ed io non l’avevo nemmeno inquadrata nel mirino perché avevo la macchina fotografica sopra la testa”. Dal libro “Leggermente fuori fuoco
  • “…aveva allestito una camera oscura in una piccola tenda. Sotto i teli neri il calore era soffocante. Per impedire allo sviluppo di bollire, Chris aveva fatto requisire due enormi blocchi di ghiaccio alla mensa dei sottoufficiali che protestarono subito perché quel ghiaccio doveva servire l’indomani per fare il gelato. Ci spogliammo e andammo a lavorare. Il sudore colava addirittura nell’acido di sviluppo. Le nostre prima copie, ancora bagnate, furono stampate appena in tempo prima che il ghiaccio si sciogliesse. Strappammo un lembo della tenda e respirammo la brezza del deserto, cosi fresca all’aurora. Mentre Chris si concentrava sulla strada dissestata dalle buche delle bombe, scrutando nella semi-oscurità, diedi un occhiata alle mie foto. Erano Leggermente fuori fuoco, un po’ sottoesposte e la composizione della foto non era certamente un opera d’arte. Ma erano le uniche fino quel momento disponibili dell’invasione della Sicilia….”
  • Tanti colleghi fotografi realizzano foto tecnicamente perfette, ma fondamentalmente inutili. Quindi tieni sempre in mente questo aspetto. La forma è importante ma è essenziale che non compromettano la riuscita della storia che stai raccontando.

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